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Per Aspera Ad Veritatem n.24
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Sentenza Rotaru contro Romania n. 28341/95, Strasburgo, 4 maggio 2000, concernente l’applicazione dell’art. 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo



Nel caso Rotaru contro Romania, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella veste di Grande Camera composta da: Sig. L. Wildhaber, Presidente, Sig. E. Palm, Sig. A. Pastor Ridruejo, Sig. G. Bonello, Sig. J. Makarczyk, Sig. R. Türmen, Sig. J.P. Costa, Sig.ra F. Tulkens, Sig.ra V. Stráznická, Sig. P. Lorenzen, Sig. M. Fischbach, Sig. V. Butkevych, Sig. J. Casadevall, Sig. A.B. Baka, Sig. R. Maruste, Sig.ra S. Botoucharova, giudici, Sig.ra R. Weber, giudice ad hoc ed anche dal Sig. M. De Salvia, Cancelliere, dopo aver deliberato in camera di Consiglio il 19 gennaio e il 29 marzo 2000, emette la seguente sentenza adottata in quest’ultima data:

Procedura

1. Il caso è stato portato avanti alla Corte, conformemente alle disposizioni che si applicavano prima dell’entrata in vigore del Protocollo n. 11 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (“la Convenzione”) (1) , dalla Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo (“la Commissione”) e da un cittadino rumeno Sig. Aurel Rotaru (“il ricorrente”), rispettivamente il 3 e il 29 giugno 1999 (articolo 5, comma 4 del Protocollo n. 11 e previgenti articoli 47 e 48 della Convenzione).
2. Il caso ha avuto origine da un ricorso (n. 28341/95) rivolto contro la Romania, presentato alla Commissione il 22 febbraio 1995, ai sensi del previgente art. 25 della Convenzione.
Il ricorrente ha denunciato la violazione del diritto al rispetto della vita privata - in relazione alla detenzione e all’utilizzo, da parte del Servizio di intelligence rumeno, di un file contenente informazioni personali - e la violazione del diritto ad accedere ad un tribunale e di attivare misure di tutela dinanzi ad una autorità nazionale volte ad ottenere la modifica o la distruzione del file.
3. La Commissione ha dichiarato il ricorso ammissibile il 21 ottobre 1996. Nella sua relazione del 1° marzo 1999 (previgente art. 31 della Convenzione), essa ha espresso l’avviso che vi era stata una violazione degli articoli 8 e 13 della Convenzione. Il testo integrale del parere della Commissione è riprodotto in allegato a questa sentenza.
4. Il 7 luglio 1999, un collegio della Grande Camera ha deciso che il caso doveva essere esaminato dalla Grande Camera (art. 100 comma 1 del Regolamento della Corte).
In seguito all’astensione del Sig. Bîrsan, giudice nominato per la Romania, che aveva preso parte all’esame della causa nell’ambito della Commissione, (art. 28), il Governo rumeno (“il Governo”) ha designato la Sig.ra R. Weber in qualità di giudice ad hoc, (articoli 27 comma 2 della Convenzione e 29 comma 1 del Regolamento).
5. Il ricorrente e il Governo hanno ciascuno presentato una memoria.
6. Ha avuto luogo un’udienza pubblica presso la sede della Corte dei Diritti Umani a Strasburgo, il 19 gennaio 2000.
Davanti alla Corte sono comparsi:
a) Per il Governo;
la Sig.ra R. Rizoiu, dipendente,
il Sig. M. Selegean, Consigliere legale, Ministero della Giustizia,
il Sig. T. Corlatean, Assistente Amministrativo, Delegazione Permanente della Romania, Consiglio d’Europa, consiglieri;
b) Per il ricorrente:
il Sig. I. Olteanu, consigliere,
il Sig. F. Rotaru, rappresentante e figlio del ricorrente.
La Corte ha ascoltato le dichiarazioni della Sig.ra Rizoiu, del Sig. Selegean, del Sig. Olteanu e del Sig. F. Rotaru.

Fatto

I. Le circostanze del caso

A. La condanna del ricorrente nel 1948

7. Il ricorrente, nato nel 1921, ha esercitato la professione di avvocato. Egli è attualmente in pensione ed è domiciliato a Bârlad.
8. Nel 1946, in seguito all’instaurazione del regime comunista, il ricorrente, che allora era uno studente, si vide rifiutare dal Prefetto della Contea di Vaslui l’autorizzazione alla pubblicazione di due opuscoli “l’Anima dello studente” e “Proteste” in ragione dei sentimenti anti-governativi che vi erano espressi.
9. Insoddisfatto di quel rifiuto, il ricorrente scrisse due lettere al Prefetto, nelle quali protestava contro la soppressione della libertà di espressione da parte del nuovo regime popolare. A seguito di queste lettere, il ricorrente fu arrestato il 7 luglio 1948. Il 20 settembre 1948, il Tribunale popolare di Vaslui lo ha dichiarato colpevole di oltraggio e lo ha condannato ad una pena detentiva di un anno.

B. Il Procedimento attivato ai sensi del Decreto Legislativo n. 118/1990

10. Dopo la caduta del regime comunista nel 1989, il nuovo Governo approvò il Decreto Legislativo n. 118/1990, che garantiva determinati diritti a coloro che erano stati perseguitati dal regime comunista e che non erano stati coinvolti in attività di tipo fascista (vedi successivo paragrafo 30).
11. Il 30 luglio 1990, il ricorrente attivò un procedimento dinanzi al Tribunale di prima istanza a Bârlad contro il Ministero dell’Interno, il Ministero della Difesa e il Dipartimento del Lavoro della Contea di Vaslui, richiedendo che la sua detenzione decretata con la sentenza del 1948 fosse presa in considerazione nel calcolo dell’anzianità di servizio. Egli inoltre richiese il pagamento dei corrispondenti diritti ai fini del trattamento pensionistico.
12. Il Tribunale emise la sentenza l’11 gennaio 1993. Basandosi tra l’altro sulle dichiarazioni dei testimoni citati dal ricorrente (P.P. e G.D.), sulla sentenza del 1948 e sulle deposizioni da parte dell’Università di Iasi, il Tribunale rilevò che tra il 1946 e il 1949 il ricorrente era stato perseguitato per motivi politici. Conseguentemente accolse il suo ricorso e gli concesse il rimborso previsto dal Decreto Legislativo n. 118/1990.
13. Come elemento a sua difesa in questo procedimento, il Ministero dell’Interno sottopose al Tribunale una lettera del 19 dicembre 1990 che aveva ricevuto dal Servizio di Intelligence rumeno (Serviciul Roman de Informatii - “SRI”). La lettera si esprimeva come segue:
“In risposta alla vostra lettera dell’11 dicembre 1990, ecco i risultati delle nostre verifiche sul conto di Aurel Rotaru che vive a Bârlad:
a) durante i suoi studi presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Iasi, la persona sopracitata era membro dell’Associazione Studenti Cristiani, un movimento di tipo (2) legionario”;
b) nel 1946 egli ha presentato all’Ufficio della censura di Vaslui una richiesta di autorizzazione a pubblicare due opuscoli intitolati “l’Anima dello studente” e “Proteste”, ma la sua richiesta è stata rigettata in ragione dei sentimenti anti-governativi ivi espressi;
c) egli apparteneva alla sezione giovanile del Partito contadino Nazionale, così come risulta da una sua dichiarazione del 1948;
d) egli non ha precedenti penali e contrariamente a quanto da lui asserito, non è stato recluso durante il periodo che egli menziona;
e) nel 1946-48 egli è stato convocato dai Servizi di sicurezza in diverse occasioni a causa delle sue idee ed interrogato sulle sue opinioni...”

C. L’azione per danni contro il SRI (Servizio di Informazione rumeno)

14. Il ricorrente attivò un procedimento contro il SRI, denunciando che egli non era mai stato un membro del movimento legionario rumeno, che non era stato uno studente della Facoltà di Scienze presso l’Università di Iasi ma della Facoltà di Legge e che alcune delle altre notizie fornite dal SRI nella sua lettera del 19 dicembre 1990 erano false e diffamatorie. Ai sensi delle disposizioni del Codice Civile sulla responsabilità risarcitoria egli chiese il risarcimento da parte del SRI per il danno morale che aveva subito. Inoltre chiese un provvedimento, senza invocare alcuna specifica disposizione legislativa, volto alla modifica o distruzione da parte del SRI del file contenente le informazioni circa il suo presunto passato da legionario.
15. Con una sentenza del 6 gennaio 1993, il Tribunale di Prima Istanza di Bucarest rigettò il ricorso dell’interessato con la motivazione che le disposizioni legislative sulla responsabilità civile non ne consentivano l’accoglimento.
16. Il ricorrente presentò appello.
17. Il 18 gennaio 1994 la Corte della Contea di Bucarest accertò che le informazioni circa l’asserita pregressa appartenenza del ricorrente al movimento legionario erano false. Tuttavia, essa rigettò l’appello con la motivazione che il SRI non poteva essere ritenuto negligente, in quanto era stato semplicemente il detentore delle informazioni contestate e, che, in assenza di negligenza, le norme sulla responsabilità civile non si applicavano. La Corte osservò che le informazioni erano state raccolte dai Servizi di sicurezza dello Stato che, al momento del loro scioglimento nel 1949, le avevano trasmesse alla Securitate (il Dipartimento di Sicurezza dello Stato), che a sua volta le aveva comunicate al SRI nel 1990.
18. Il 15 dicembre 1994 la Corte d’Appello di Bucarest rigettò l’appello del ricorrente contro la sentenza del 18 gennaio 1994 esprimendosi nei seguenti termini:
“La Corte ritiene che l’appello del ricorrente sia infondato. Quale detentore per legge degli archivi degli ex Servizi di Sicurezza dello Stato, l’SRI con la lettera n. 705567/1990, ha inviato al Ministero dell’Interno le notizie concernenti le attività del ricorrente nel periodo in cui egli era uno studente universitario, così come erano state esposte dai Servizi di Sicurezza dello Stato. è pertanto evidente che le Autorità Giudiziarie non hanno il potere di distruggere o modificare le notizie contenute nella lettera scritta dal SRI, il quale è meramente detentore degli archivi degli ex Servizi di Sicurezza dello Stato. Nel rigettare l’appello, le Autorità Giudiziarie non hanno violato né l’articolo 1 della Costituzione né l’articolo 3 del Codice Civile, ma hanno definito il procedimento conformemente alle regole procedurali stabilite nel Codice di Procedura Civile”.

D. L’azione risarcitoria contro i giudici

19. Il 13 giugno 1995, il ricorrente attivò un’azione risarcitoria contro tutti i giudici che avevano rigettato il suo ricorso volto ad ottenere la modifica o la distruzione del file. Nella sua istanza egli fondò l’azione sull’articolo 3 del Codice Civile, concernente il diniego di giustizia e l’articolo 6 della Convenzione. Secondo il ricorrente, sia la Corte della Contea sia la Corte d’Appello di Vaslui avevano rifiutato di protocollare la sua istanza.
A questo riguardo, il ricorrente presentò un nuovo ricorso alla Commissione il 5 agosto 1998, che venne protocollato con il n. 46597/98, attualmente pendente davanti alla Corte.

E. Il ricorso per il riesame

20. Nel giugno 1997, il Ministro della Giustizia informò il Direttore del SRI che la Commissione Europea dei Diritti Umani aveva dichiarato ammissibile il presente ricorso dell’interessato. Conseguentemente, il Ministro chiese al Direttore del SRI di verificare ancora una volta se il ricorrente fosse stato un membro del movimento legionario e, qualora quell’informazione si fosse rivelata falsa, di informare il ricorrente del fatto, di modo che egli potesse conseguentemente farne uso in un’eventuale richiesta di riesame.
21. Il 6 luglio 1997, il Direttore del SRI comunicò al Ministro della Giustizia che le informazioni contenute nella lettera del 19 dicembre 1990, circa la pregressa appartenenza del ricorrente al movimento legionario, erano emerse dalla consultazione dei loro archivi, nei quali era stato rinvenuto un elenco, redatto dall’Ufficio di Sicurezza Iasi, che menzionava, in corrispondenza del n. 165, un tale Aurel Rotaru, “uno studente di Scienze, membro militante di base dell’Associazione degli studenti cristiani, legionario”. Il Direttore del SRI sosteneva che l’elenco recava la data del 15 febbraio 1937 ed esprimeva l’avviso che “a quella data il sig. Rotaru aveva soltanto 16 anni e non poteva essere uno studente della Facoltà di Scienze. Ciò posto, riteniamo che ci sia stato un deprecabile errore che ci induce a pensare che il Sig. Aurel Rotaru di Bârlad sia la stessa persona che figura in quell’elenco come un membro di una organizzazione di tipo legionario. Controlli più dettagliati effettuati dalla nostra istituzione nelle Contee di Iasi e di Vaslui non hanno fornito altre informazioni atte a confermare che i due nomi si riferiscano alla stessa persona”.
22. Una copia di quella lettera fu inviata al ricorrente, il quale, il 25 luglio 1997, presentò ricorso alla Corte d’Appello di Bucarest, per il riesame della sentenza del 15 dicembre 1994. Nel suo ricorso egli chiese una dichiarazione di nullità dei documenti diffamatori, il risarcimento dei danni di ammontare pari ad un leu per il danno morale e il rimborso di tutti i costi e le spese sostenute dall’inizio del procedimento, più interessi e rivalutazione.
23. L’SRI sostenne che il ricorso per il riesame dovesse essere rigettato, ritenendo che alla luce della lettera del Direttore del SRI del 6 luglio 1997, ne erano venuti meno i presupposti.
24. Con una sentenza definitiva del 25 novembre 1997, la Corte d’Appello di Bucarest annullò la sentenza del 15 dicembre 1994 ed accolse la richiesta del ricorrente nei termini seguenti:
“Emerge dalla lettera n. 4173 del 5 luglio 1997 del Servizio Informazione rumeno... che negli archivi (al numero progressivo 53172, vol. 796, p. 243), esiste un elenco che contiene i nomi dei membri di organizzazioni legionarie che non vivono nella Contea di Iasi e nel cui contesto, in corrispondenza del n. 165, è scritto quanto segue: “Rotaru Aurel - studente di Scienze, membro, militante di base dell’Associazione degli studenti cristiani, legionario.” Dal momento che, quando questo elenco è stato redatto il 15 febbraio 1937, il ricorrente aveva appena 16 anni e non seguiva i corsi nella Facoltà di Scienze di Iasi e poiché, emerge dai successivi controlli dei documenti, contenenti l’elenco dei nomi dei membri delle organizzazioni legionarie, che il nome di “Aurel Rotaru” non sembra essere associato ad un individuo residente a Barlad, i cui dati personali corrispondono a quelli del ricorrente, il Servizio di informazione rumeno ritiene che vi sia stato un deprecabile errore e che la persona menzionata nell’elenco non sia il ricorrente.
Con riguardo a quest’ultima lettera, la Corte ritiene che essa soddisfi i requisiti di cui all’articolo 322-5 del Codice di Procedura Civile in quanto è tale da modificare totalmente i fatti precedentemente stabiliti. Il documento contiene dettagli di cui non è stato possibile dare contezza in alcuna delle fasi precedenti del procedimento, per ragioni indipendenti dalla volontà del ricorrente.
Pertanto, la data in cui è stata creata la Securitate e il modo in cui gli ex Servizi di Sicurezza erano organizzati non sono fattori rilevanti. Similmente, il fatto, benché rispondente a verità, che il Servizio di Informazione rumeno sia il mero detentore degli archivi degli ex Servizi di Sicurezza è irrilevante. Ciò che conta è che la lettera n. 705567 del 19 dicembre 1990, del Servizio informazione rumeno (unità militare n. 05007), contiene dettagli che non si riferiscono al ricorrente, talché l’informazione contenuta in quella lettera è falsa per ciò che lo riguarda e, se non rimossa, potrebbe seriamente ledere la sua dignità e il suo onore.
Alla luce di quanto detto, e conformemente alla disposizione legislativa summenzionata, il ricorso per il riesame è fondato e deve essere accolto.
Ne consegue che le decisioni rese antecedentemente su questo caso devono essere annullate e che l’azione del ricorrente così come proposta è accolta.”
25. La Corte non si è pronunciata né sui danni né sulle spese.

(...)

Diritto

I. Le obiezioni preliminari del Governo

A. Lo status di vittima del ricorrente

33. Il Governo in via preliminare sostenne - come aveva fatto dinanzi alla Commissione - che il ricorrente non poteva più pretendere di essere “vittima” di una violazione della Convenzione ai sensi e per gli effetti dell’articolo 34. Il Governo sottolineò che il ricorrente aveva vinto la causa dinanzi alla Corte d’Appello di Bucarest, in quanto la Corte, nella sua sentenza del 25 novembre 1997, aveva dichiarato nulle le notizie contenute nella lettera del 19 dicembre 1990 del Servizio di Intelligence rumeno (Serviciul Roman de Informatii - “SRI”) e, a suo avviso, l’unica violazione dei diritti del ricorrente era ascrivibile a quella lettera.
In ogni caso il Governo sostenne che il ricorrente ora aveva la possibilità di attivare la procedura prevista dalla legge n. 187 del 20 ottobre 1999, che gli assicurava tutte le garanzie richieste dalla Convenzione per la protezione dei suoi diritti.
34. Il ricorrente richiese alla Corte di continuare nella disamina del caso. Egli sostenne che le circostanze che avevano originato il ricorso non erano sostanzialmente cambiate dopo la sentenza del 25 novembre 1997. In primo luogo il solo fatto di riconoscere, dopo la decisione di ammissibilità della Commissione, che era stato commesso un errore, non poteva costituire un adeguato risarcimento per le violazioni della Convenzione. In secondo luogo, egli non aveva avuto ancora accesso al suo file segreto che non era stato soltanto conservato, ma anche utilizzato dal SRI. Di conseguenza non si poteva escludere che anche dopo la sentenza del 25 novembre 1997 il SRI avrebbe potuto far uso della notizia circa l’asserita appartenenza del ricorrente al movimento legionario e di ogni altra informazione contenuta nel suo file.
35. La Corte ribadisce, per quanto concerne il concetto di vittima, che un individuo può invocare, in presenza di determinate condizioni, lo status di vittima di una violazione scaturita dalla mera esistenza di provvedimenti segreti o di una legislazione che legittima provvedimenti segreti, senza dover necessariamente dimostrare che tali provvedimenti siano stati di fatto applicati nei suoi confronti (vedasi sentenza Klass e altri c. Germania del 6 settembre 1978, serie A n. 28, pp. 18-19, paragrafo 34). Inoltre, “una sentenza o un provvedimento favorevole al ricorrente non è in linea di principio un elemento sufficiente per privarlo del suo status di “vittima”, a meno che le autorità nazionali abbiano riconosciuto - espressamente o implicitamente e quindi abbiano concesso il relativo risarcimento - la violazione della Convenzione” (vedasi sentenza Amuur c. Francia del 25 giugno 1996, Repertorio delle sentenze e delle decisioni 1996-III, p. 846, paragrafo 36, e Dalban c. Romania (GC), n. 28114/95, paragrafo 44, ECHR 1999-VI).
36. Con riguardo al caso di specie, la Corte asserisce che il ricorrente ha denunciato l’esistenza di un registro segreto contenente notizie sul suo conto, esistenza pubblicamente rivelata durante un procedimento giudiziario. La Corte ritiene che egli possa, sulla base di ciò, invocare lo status di vittima di una violazione della Convenzione.
La Corte nota altresì che, in una sentenza del 25 novembre 1997, la Corte d’Appello di Bucarest ha accertato che le notizie contenute nella lettera del 19 dicembre 1990, circa l’asserita pregressa appartenenza del ricorrente al movimento legionario, erano false, in quanto esse si riferivano probabilmente ad un omonimo e le ha dichiarate nulle.
Ammesso che si possa ritenere che quella sentenza abbia, entro certi termini, risarcito il ricorrente del danno connesso all’esistenza nel suo file di notizie di cui è stata accertata la falsità, ad avviso della Corte tale risarcimento copre solo in parte i danni e comunque non è coerente con la giurisprudenza privarlo dello status di vittima. Oltre alle considerazioni soprariportate, per quanto concerne lo status di vittima risultante dalla tenuta di un archivio segreto la Corte rileva in particolare i seguenti elementi.
L’informazione circa l’asserita pregressa appartenenza del ricorrente al movimento legionario è apparentemente ancora registrata nei file del SRI e il file di interesse non contiene alcuna menzione della sentenza del 25 novembre 1997. Inoltre, la Corte d’Appello non si è pronunciata - e non aveva del resto titolo a farlo - sul fatto che il SRI fosse autorizzato dalla legislazione rumena a detenere e utilizzare file creati dagli ex Servizi di intelligence, contenenti notizie sul ricorrente. Una censura fondamentale avanzata dinanzi alla Corte dal ricorrente era che l’ordinamento interno non aveva disciplinato in modo sufficiente le modalità di svolgimento dell’attività da parte del SRI così come non aveva previsto in favore dei cittadini alcuna efficace misura di tutela dinanzi ad una Autorità nazionale.
Infine, la Corte d’Appello di Bucarest, nella sentenza del 25 novembre 1997, non si è pronunciata sulla richiesta di indennizzo del ricorrente per danno morale e per i costi e le spese.
37. Per quanto riguarda la legge n. 187 del 20 ottobre 1999, invocata dal Governo, la Corte ritiene, considerate le circostanze del caso, che essa non sia pertinente (vedi successivo paragrafo 71).
38. La Corte conclude che il ricorrente può rivendicare lo status di “vittima” ai sensi e per gli effetti dell’articolo 34 della Convenzione. L’obiezione deve pertanto essere respinta.

B. Esperimento di tutte le misure di tutela previste dall’ordinamento interno

39. Il Governo affermò che il ricorso era inammissibile per mancato esperimento di tutte le misure di tutela previste dall’ordinamento interno. Esso argomentò che il ricorrente aveva avuto la possibilità di attivare una misura di tutela cui invece non aveva fatto ricorso, precisamente un’azione prevista dal decreto n. 31/1954 concernente le persone fisiche e giuridiche ai sensi del quale la Corte può disporre misure atte a far cessare comportamenti lesivi della reputazione di una persona.
40. La Corte osserva che c’è uno stretto collegamento tra la tesi del Governo su questo punto ed i motivi di doglianza espressi dal ricorrente ai sensi e per gli effetti dell’articolo 13 della Convenzione. Essa coerentemente condivide questa obiezione nel merito (vedi successivo paragrafo 70).

II. Asserita violazione dell’articolo 8 della Convenzione

41. Il ricorrente lamentò la circostanza che il SRI deteneva e poteva utilizzare in ogni momento le notizie relative alla sua vita privata, alcune delle quali erano false e diffamatorie. Egli denunciò una violazione dell’articolo 8 della Convenzione che prevede:
“1. Ogni individuo ha diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza.
2. è vietata qualsiasi interferenza da parte di una Autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto, salvo che non sia prevista dalla legge come necessaria in una società democratica, a tutela degli interessi della sicurezza nazionale, della sicurezza pubblica o del benessere economico del Paese, per la difesa dell’ordine e la prevenzione di reati, per la protezione della salute o della morale o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.”

A. Applicabilità dell’articolo 8

42. Il Governo contestò l’applicabilità dell’articolo 8, sostenendo che le notizie contenute nella lettera del SRI del 19 dicembre 1990, non si riferivano alla vita privata del ricorrente ma piuttosto a quella pubblica. Decidendo di impegnarsi in attività politiche e avendo pubblicato degli opuscoli, il ricorrente aveva implicitamente rinunciato al suo diritto “all’anonimato” inerente alla vita privata. Quanto al suo interrogatorio da parte della polizia e i suoi precedenti penali, si trattava di informazioni pubbliche.
43. La Corte ribadisce che la conservazione delle notizie relative alla vita privata di un individuo in un registro segreto e la comunicazione dei dati relativi alla vita privata della persona rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 8, comma 1 (vedi sentenza Leander c. Svezia del 26 marzo 1987, Serie A n. 116, p. 22, paragrafo 48).
Il rispetto della vita privata deve includere entro certi limiti anche il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani: inoltre, non c’è alcuna ragione di principio atta a giustificare l’esclusione di attività di natura professionale o commerciale dalla nozione di “vita privata” (vedasi sentenza Niemietz c. Germania del 16 dicembre 1992, serie A n. 251-B, pp. 33-34, paragrafo 29 e Halford c. Regno Unito del 25 giugno 1997, Repertorio 1997 - III, pp. 1015-16, paragrafi 42-46).
La Corte ha già sottolineato la corrispondenza di questa interpretazione estensiva con quella della Convenzione del Consiglio d’Europa del 28 gennaio 1981 per la Protezione degli Individui, con riguardo al trattamento automatizzato dei dati personali, entrata in vigore il 1° ottobre 1985 e, la cui finalità è “garantire... ad ogni individuo... il rispetto dei suoi diritti e delle libertà fondamentali e in particolare il diritto alla privacy, rispetto al trattamento automatizzato dei dati personali che lo riguardano (articolo 1), dove tali dati sono definiti all’articolo 2 come “ogni informazione relativa ad una persona identificata o identificabile” (ved. sentenza Amann c. Svizzera (GC), n. 27798/95, paragrafo 65, ECHR 2000 - II).
Inoltre le notizie pubbliche possono essere ricondotte all’ambito della vita privata laddove siano sistematicamente raccolte e conservate in file detenuti dalle Autorità. Ciò è ancora più vero quando tali informazioni riguardano il passato lontano di una persona.
44. Nella fattispecie la Corte osserva che la lettera del SRI del 19 dicembre 1990 conteneva diverse notizie sulla vita del ricorrente, con particolare riguardo agli studi, alle attività politiche e ai precedenti penali, alcune delle quali erano state raccolte più di 50 anni prima. Ad avviso della Corte, tali notizie, quando sono sistematicamente raccolte e conservate in un file, detenuto da dipendenti dello Stato, sono riconducibili all’ambito della “vita privata”, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 8, comma 1 della Convenzione. Ciò è vero a maggior ragione nel caso di specie, in quanto alcune informazioni sono state dichiarate false e probabilmente hanno potenzialità lesiva della reputazione del ricorrente.
Di conseguenza si applica l’articolo 8.

B. Applicazione dell’Articolo 8

1. Sull’esistenza o meno di una ingerenza

45. Secondo il Governo, dovevano esistere tre condizioni perché si potesse affermare l’esistenza di un’ingerenza nel diritto al rispetto alla vita privata: le informazioni relative alla persona interessata dovevano essere state memorizzate, utilizzate e doveva essere impossibile per la persona interessata confutarle. Nella fattispecie, comunque, sia la conservazione che l’uso delle notizie relative al ricorrente, hanno avuto luogo prima che la Romania ratificasse la Convenzione. Quanto alla presunta impossibilità di confutare le informazioni, il Governo sostenne al contrario che era possibile per l’interessato confutare le informazioni non rispondenti a verità ma che non aveva fatto ricorso a misure di tutela appropriate.
46. La Corte sottolinea che sia la conservazione da parte di un’Autorità pubblica delle notizie relative alla vita privata di un individuo sia il loro utilizzo, così come il diniego della possibilità di confutarle, costituiscono un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata garantito dall’articolo 8, comma 1 della Convenzione (vedasi le seguenti sentenze: Leander sopracitata, p. 22 paragrafo 48; Kopp c. Svizzera del 25 marzo 1998, Repertorio 1998-II, p. 540, paragrafo 53, e Amann precitato, paragrafi 69 e 80).
Nel caso di specie è del tutto evidente, dalla lettera del SRI del 19 dicembre 1990, che quest’ultimo deteneva delle notizie circa la vita privata del ricorrente. Sebbene quella lettera sia certamente antecedente all’entrata in vigore della Convenzione in Romania, il 20 giugno 1994, il Governo non dichiarò che il SRI aveva cessato di detenere le notizie circa la vita privata del ricorrente dopo quella data. La Corte osserva inoltre che alcune delle informazioni furono utilizzate dopo quella data, ad esempio in relazione al ricorso per la revisione che ha dato luogo alla sentenza del 25 novembre 1997.
Sia la conservazione di questi dati che il loro uso, unitamente al diniego della possibilità per il ricorrente di confutarli, costituiscono un’ingerenza nel suo diritto al rispetto della vita privata garantito dall’articolo 8, comma 1.

2. Casi in cui l’ingerenza può ritenersi giustificata

47. La questione cardine che si pone è se l’ingerenza così rilevata possa essere giustificata ai sensi del comma 2 dell’articolo 8. Quel comma, poiché prevede un’eccezione al diritto tutelato dalla Convenzione, deve essere inteso secondo criteri interpretativi restrittivi. Sebbene la Corte riconosca che i Servizi di intelligence possano legittimamente esistere in una società democratica, essa ribadisce che i poteri di sorveglianza segreta nei confronti dei cittadini sono consentiti ai sensi della Convenzione soltanto nei limiti strettamente necessari per la salvaguardia delle istituzioni democratiche (vedasi sentenza Klass e altri sopracitata, p. 21, paragrafo 42).
48. Per non violare l’articolo 8, tale ingerenza deve essere “in conformità alla legge”, deve perseguire un fine legittimo ai sensi del comma 2 ed inoltre essere necessaria in una società democratica per il raggiungimento di tale scopo.
49. Il Governo ritenne che i provvedimenti in questione erano conformi alla legge. I dati d’interesse erano stati rivelati dal SRI in relazione ad una procedura disciplinata nel Decreto Legislativo n. 118/1990, finalizzata ad assicurare un risarcimento alle persone perseguitate dal regime comunista. Ai sensi dell’articolo 11 di quel decreto legislativo, nessuna forma di risarcimento potrebbe essere concessa a persone implicate in attività fasciste.
50. Secondo la prospettazione del ricorrente, la detenzione e l’utilizzo del file non erano conformi alla legge, in quanto il diritto interno non era sufficientemente preciso nell’indicare ai cittadini in quali circostanze e secondo quali modalità le autorità pubbliche fossero autorizzate a conservare ed utilizzare le notizie relative alla loro vita privata. Inoltre, la legislazione nazionale non definiva con sufficiente precisione le modalità di esercizio di quei poteri e non prevedeva alcuna misura di tutela contro eventuali abusi.
51. La Commissione ritenne che la legge interna non definisse con sufficiente precisione le circostanze in cui il SRI poteva archiviare, comunicare ed utilizzare le notizie relative alla vita privata del ricorrente.
52. La Corte ribadisce la sua precedente giurisprudenza, secondo la quale l’espressione “in conformità alla legge” non solo richiede che il provvedimento impugnato debba essere fondato su una legge nazionale ma si riferisce anche alle caratteristiche della legge in questione, richiedendo che essa debba essere accessibile alla persona interessata e prevedibile per quanto riguarda i suoi effetti (vedasi come ultima fonte: Amman sopracitato, paragrafo 50).
53. Nella fattispecie la Corte evidenzia che l’articolo 6 del decreto legislativo n. 118/1990, assunto dal Governo a fondamento del provvedimento impugnato, permette ad ogni individuo di dimostrare il possesso dei requisiti richiesti per vedersi riconoscere la titolarità di determinati diritti, mediante documenti ufficiali rilasciati dalle Autorità competenti o qualsiasi altro materiale probatorio. Tuttavia questa disposizione non definisce in quale modo questa prova possa essere ottenuta e non conferisce al SRI alcun potere in materia di raccolta, conservazione e comunicazione dei dati sulla vita privata di una persona.
La Corte deve dunque stabilire se la legge n. 14/1992 sull’organizzazione e il funzionamento del SRI, invocata anche dal Governo, possa costituire il fondamento legale per questi provvedimenti. A tale riguardo, essa osserva che la legge in questione autorizza il SRI a raccogliere, conservare e utilizzare notizie attinenti alla sicurezza nazionale. La Corte esprime dubbi circa la pertinenza alla sicurezza nazionale delle informazioni detenute sul ricorrente. Tuttavia, essa ribadisce che è compito primario delle autorità nazionali, specialmente degli Organi Giudiziari, interpretare ed applicare il diritto interno (vedasi la sentenza Kopp sopracitata, p. 541, paragrafo 59) e rileva che, nella sua sentenza del 25 novembre 1997, la Corte d’Appello di Bucarest ribadì la legittimità della detenzione da parte del SRI di queste notizie, quale detentore degli archivi degli ex Servizi di sicurezza.
Pertanto, la Corte può concludere che la conservazione delle informazioni riguardanti la vita privata del ricorrente trovava fondamento nell’Ordinamento rumeno.
54. Per quanto concerne la conoscibilità della legge, la Corte ritiene che tale requisito sia stato soddisfatto, posto che la legge n. 14/1992 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Romania del 3 marzo 1992.
55. Per quanto riguarda il requisito della prevedibilità, la Corte ribadisce che una norma “è prevedibile” se è formulata con sufficiente precisione al fine di permettere ad ogni individuo - se necessario, con appropriato avviso - di regolare la sua condotta. La Corte ha sottolineato l’importanza di questo concetto in relazione alla sorveglianza segreta nei termini seguenti (vedi sentenza Malone c. Regno Unito del 2 agosto 1984, serie A n. 82, p. 32, paragrafo 67, ribadito nella sentenza Amman sopracitata, paragrafo 56):
“La Corte ribadisce l’avviso che la frase “in conformità alla legge” non si riferisce esclusivamente al diritto interno, ma riguarda anche la qualità della “legge”; richiedendo che essa sia compatibile con lo stato di diritto, che è espressamente menzionato nel preambolo della Convenzione... La frase pertanto implica - e ciò emerge dall’oggetto e fine dell’articolo 8 - che deve esistere una disposizione di protezione legale nell’ordinamento interno, contro le ingerenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche nei diritti tutelati dal comma 1 ...Soprattutto laddove un potere dell’Esecutivo sia esercitato in segreto, i rischi di arbitrio sono evidenti...
...Poiché l’applicazione pratica delle misure di sorveglianza segreta delle comunicazioni, sfugge al controllo degli individui interessati, come del pubblico, sarebbe contrario allo stato di diritto se la discrezionalità legale concessa all’esecutivo si esprimesse in termini di potere assoluto. Conseguentemente la legge deve indicare l’ambito di tale discrezionalità attribuita alle competenti autorità e le modalità del suo esercizio con sufficiente chiarezza, tenendo conto del fine legittimo del provvedimento in questione al fine di assicurare all’individuo adeguata protezione contro ingerenze arbitrarie.”
56. La “qualità” delle norme giuridiche di riferimento per questo caso deve pertanto essere esaminata, con l’obiettivo, in particolare, di accertare se l’ordinamento interno avesse fissato con sufficiente precisione le circostanze in cui il SRI poteva memorizzare e utilizzare le informazioni relative alla vita privata del ricorrente.
57. La Corte rileva a questo riguardo che l’articolo 8 della legge n. 14/1992 prevede che le informazioni relative alla sicurezza nazionale possono essere raccolte, registrate e archiviate in file segreti.
Nessuna disposizione dell’ordinamento interno, tuttavia, stabilisce qualche limite all’esercizio di quei poteri. Così, ad esempio, la suddetta legge non definisce il tipo di informazioni che possono essere registrate, le categorie delle persone suscettibili di essere oggetto di misure di sorveglianza, quali la raccolta e la conservazione dei dati, le circostanze in cui tali misure possono essere adottate, infine la procedura da seguire. Allo stesso modo, la legge non stabilisce né i limiti in ordine all’epoca cui risalgono le informazioni, né il lasso di tempo entro il quale le informazioni possono essere conservate.
L’articolo 45 della legge legittima il SRI a provvedere alla conservazione e all’utilizzo degli archivi che appartenevano agli ex Servizi di intelligence operanti sul territorio della Romania e autorizza l’esame dei documenti del SRI previa approvazione del Direttore.
La Corte asserisce che questo articolo non contiene alcuna esplicita e dettagliata disposizione concernente le persone autorizzate a consultare i file, la natura dei file, la procedura da seguire o l’uso che può farsi delle informazioni così ottenute.
58. Essa osserva inoltre che, sebbene l’articolo 2 della legge legittimi le autorità competenti ad autorizzare le ingerenze necessarie a prevenire e contrastare le minacce alla sicurezza nazionale, il motivo che permette tali ingerenze non è definito con sufficiente precisione.
59. La Corte deve inoltre accertare che esistono adeguate ed efficaci misure di tutela contro l’abuso, poiché un sistema di sorveglianza segreta finalizzato a proteggere la sicurezza nazionale comporta il rischio di indebolire o anche distruggere la democrazia, con il pretesto di doverla difendere (vedi sentenza Klass e altri sopracitata, pp. 23-24, paragrafi 49-50).
Affinché sistemi di sorveglianza segreta siano compatibili con l’articolo 8 della Convenzione, essi devono prevedere misure di garanzia stabilite dalla legge che si applicano al controllo delle attività dei Servizi interessati.
Le procedure di controllo devono rispettare il più fedelmente possibile i valori di una società democratica, in particolare lo stato di diritto, espressamente citato nel preambolo della Convenzione. Lo stato di diritto implica, inter-alia, che l’ingerenza da parte delle autorità di Governo nei diritti dell’individuo debba essere soggetta ad un controllo efficace, che normalmente deve essere assicurato, almeno in ultima istanza, dal potere giudiziario, in quanto il controllo giudiziario offre le migliori garanzie di indipendenza, imparzialità e di una procedura adeguata (sentenza Kass e altri sopracitata, pp. 25-26, paragrafo 55).
60. Nella fattispecie la Corte osserva che il sistema rumeno di raccolta e archiviazione delle informazioni non prevede tali garanzie, non essendo prevista dalla legge n° 14/1992, alcuna procedura di controllo né durante la vigenza del provvedimento adottato né successivamente.
61 Ciò posto, la Corte ritiene che l’ordinamento interno non indica con ragionevole chiarezza l’ambito e le modalità di esercizio della discrezionalità attribuita alle autorità pubbliche.
62. La Corte conclude che la detenzione e l’uso, da parte del SRI, delle notizie relative alla vita privata del ricorrente non erano “conformi alla legge”, dato questo sufficiente a ravvisare una violazione dell’articolo 8. Inoltre, nella fattispecie, questo fatto impedisce alla Corte di riesaminare la legittimità del fine perseguito attraverso i provvedimenti adottati e di stabilire se essi erano - ritenendo la finalità legittima - “necessari in una società democratica”.
63. Vi è stata di conseguenza una violazione dell’articolo 8.(...)

Per queste ragioni la Corte

1. Rigetta all’unanimità l’obiezione preliminare del Governo secondo la quale il ricorrente non era più una vittima;
2. Accoglie nel merito all’unanimità l’obiezione preliminare del Governo circa il mancato esperimento di tutte le misure di tutela previste dall’ordinamento interno e la rigetta all’unanimità dopo l’esame di merito;
3. Dichiara con sedici voti contro uno che vi è stata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
4. Dichiara all’unanimità che vi è stata una violazione dell’articolo 13 della Convenzione;
5. Dichiara all’unanimità che vi è stata una violazione dell’articolo 6 comma 1 della Convenzione;
6. Dichiara all’unanimità:
a) che lo Stato convenuto deve pagare al ricorrente entro tre mesi FRF. 50.000 (cinquantamila franchi francesi) per danno non patrimoniale e FRF. 13.450 (tredicimila quattrocento cinquanta franchi francesi) per costi e spese, meno FRF 9.759,72 (novemila settecento cinquantanove franchi francesi e settantadue centesimi) da convertire in lire rumene al tasso applicabile alla data della effettiva corresponsione;
b) che l’interesse semplice al tasso annuale di 2,74% si dovrà pagare a decorrere dalla scadenza del summenzionato termine di tre mesi fino all’effettivo pagamento;
7. Respinge all’unanimità l’ulteriore richiesta del ricorrente.
Redatta in inglese e in francese e pronunciata nell’udienza pubblica presso l’Istituto dei Diritti Umani di Strasburgo il 4 maggio 2000.
Luzius Wildhaber: Presidente
Michele DE SALVIA: Cancelliere

In conformità con l’articolo 45 comma 2 della Convenzione e articolo 74 comma 2 del Regolamento della Corte. Le opinioni di minoranza sono annesse alla presente sentenza.
a) opinione concorde del Sig. Wildhaber, alla quale aderiscono il Sig. Makarczyk, il Sig. Türmen, il Sig. Costa, la Sig.ra Tulkens, il Sig. Casadevall e la Sig.ra Weber;
b) opinione concorde del Sig. Lorenzen;
c) opinione parzialmente dissenziente del Sig. Bonello.
Siglata con le iniziali L.W. e con le iniziali M.de S.

(...)

Opinione parzialmente dissenziente Giudice Bonello

1. La maggioranza ha rilevato una violazione dell’articolo 8, dopo aver valutato che il relativo disposto è applicabile alla fattispecie in esame. Ho espresso un parere concorde con la maggioranza per quanto riguarda le altre violazioni della Convenzione, ma non posso avallare l’applicabilità dell’articolo 8.
2. L’articolo 8 protegge la vita privata dell’individuo. Il fondamento di tale protezione è il diritto di ciascuna persona di escludere dall’indiscrezione e dal controllo pubblico la parte più intima del proprio essere. Esistono delle aree riservate della nostra persona e del nostro spirito che secondo la Convenzione devono rimanere precluse all’accesso altrui. è illegittimo investigare, conservare, classificare o divulgare dati che si riferiscono a quelle sfere più intime dell’attività, del pensiero o dei principi di un individuo, che devono rimanere relegate ad un ambito di riservatezza.
3. D’altro canto, le attività che sono per loro natura pubbliche e che vivono di pubblicità sono estranee all’ambito applicativo dell’articolo 8.
4. Le informazioni segrete detenute dai Servizi di sicurezza dello Stato, cui il ricorrente ha chiesto di accedere, si riferivano in sostanza: a) alla partecipazione attiva di un certo Aurel Rotaru in un movimento politico; b) alla sua richiesta di pubblicare due opuscoli politici; c) alla sua affiliazione al movimento giovanile di un partito politico; d) al fatto che egli non aveva precedenti penali (vedasi paragrafo 13 della sentenza).
5. Le prime tre informazioni si riferiscono esclusivamente alle attività pubbliche. Decisamente pubbliche io aggiungerei, in quanto l’attivismo politico e l’attività editoriale dipende e richiede massima pubblicità per la sua esistenza e il successo. I documenti non indicavano che il richiedente votasse per un qualche particolare partito politico, ciò che, naturalmente, avrebbe costituito un’ingerenza nella sfera della propria riservatezza. I documenti, in sostanza, indicano come Aurel Rotaru manifestasse pubblicamente la sua militanza pubblica in particolari organizzazioni pubbliche.
6. In quale modo la conservazione dei documenti relativi alle attività chiaramente pubbliche di un individuo viola il suo diritto alla privacy? Fino ad ora la Corte ha ritenuto, a mio avviso in maniera inconfutabile, che la tutela prevista dall’articolo 8 si estende alle questioni riservate, come i dati medici e relativi alla salute, le abitudini e le convinzioni sessuali, i legami familiari e, forse, le relazioni professionali e commerciali ed altre aree intime nelle quali ogni intrusione pubblica costituirebbe un’ingiustificabile violazione della propria naturale sfera privata. L’attivismo pubblico nei partiti politici pubblici ha, a mio avviso, poco in comune con la ratio che eleva la protezione della privacy a diritto umano fondamentale.
7. Il quarto elemento contenuto nel file del ricorrente si riferiva ad una annotazione che indicava che l’interessato non aveva precedenti penali. La Corte ha ritenuto che anche qui vi sia stata una violazione del diritto della privacy del ricorrente. La Corte ha sottolineato che le note dei Servizi di Sicurezza (incluse alcune notizie che risalivano ad oltre cinquant’anni prima) contenevano precedenti penali del ricorrente ed ha concluso che “tali notizie, quando sistematicamente raccolte e conservate in un file detenuto da dipendenti dello Stato, rientrano nella sfera della “vita privata” ai sensi e per gli effetti dell’articolo 8, comma 1 della Convenzione” (vedi paragrafo 44 della sentenza).
8. Questo, a mio avviso, risulta pericolosamente esorbitante rispetto all’ambito dell’articolo 8. Ritenere che, con riferimento alla conservazione dei precedenti penali di una persona da parte delle autorità di polizia (anche quando, come nel presente caso, si dimostri che l’individuo non ha precedenti penali), sia applicabile l’articolo 8, può avere incalcolabili e temibili conseguenze rispetto “agli interessi della sicurezza nazionale, della sicurezza pubblica e della tutela dell’ordine e della prevenzione del crimine” - tutti valori che l’articolo 8 espressamente protegge.
9. potrei anche ammettere, sebbene a malincuore, che la conservazione dei precedenti penali da parte della polizia, possa costituire un’ingerenza nel diritto alla privacy, ma sarebbe affrettato aggiungere che tale ingerenza sia giustificata dall’interesse della lotta alla criminalità e della sicurezza nazionale. La Corte non ha ritenuto necessario farlo.
10. Naturalmente il mio dubbio è circoscritto alla censura da parte della Corte circa la conservazione delle notizie di natura penale. La gratuita e illegittima divulgazione dei contenuti di questi atti potrebbe indubbiamente sollevare questioni ai sensi e per gli effetti dell’articolo 8.
11. La Corte sembra aver dato particolare peso al fatto che “alcune delle informazioni sono state dichiarate false ed è probabile che possano ledere la reputazione del ricorrente” (vedi paragrafo 44 della sentenza). Queste considerazioni pongono due distinte questioni: quella della falsità delle notizie e quella della loro natura diffamatoria.
12. Alcuni dei dati conservati nel file del ricorrente non si riferiscono in realtà a lui, ma ad un omonimo. Ciò indubbiamente ha reso questa informazione “falsa” nei riguardi del ricorrente. Ma la falsità relativa a questioni di dominio pubblico trasforma quelle informazioni pubbliche in private? La logica di questo ragionamento mi sfugge.
13. Ancora una volta non ho alcuna difficoltà a riconoscere che le notizie “false” sul ricorrente, conservate dai Servizi di sicurezza, erano di natura tale da poter ledere probabilmente la sua reputazione. Con esitazione la Corte sembra ultimamente orientarsi verso la tesi che "reputazione" potrebbe essere una questione riconducibile all’articolo 8 (3) . Estendere l’ambito applicativo dell’articolo 8 a queste nuove prospettive significherebbe ampliare in modo significativo l’area di protezione dei diritti umani. Ma la Corte, a mio avviso, dovrebbe mettere mano a questa riforma in modo diretto ed esplicito e non incidentalmente, quasi surrettiziamente, come se fosse un aspetto marginale del diritto alla privacy.
14. Se condividessi le opinioni della maggioranza secondo le quali il diritto alla privacy protegge anche i dati chiaramente pubblici, avrei concluso per la violazione dell’articolo 8, posto che io condivido pienamente la conclusione del Tribunale che la conservazione e l’utilizzo da parte delle forze di sicurezza delle notizie relative al ricorrente non erano “conformi alla legge” (vedi paragrafi 57-63 della sentenza)....


(*)Traduzione e stralcio a cura della Redazione. La versione del testo integrale è reperibile al sito www.echr.coe.int.
(1) Annotazione del Cancelliere. Protocollo n. 11 entrato in vigore il 1° novembre 1998.
(2) Vale a dire appartenente alla Legione dell’Arcangelo Michele, un movimento rumeno paramilitare e antisemita, nazionalista, di estrema destra, creato nel 1927, dalla scissione di un movimento di analogo orientamento, la Lega per la Difesa nazionale cristiana. Il movimento legionario ha dato origine ad alcuni partiti politici che hanno influenzato la politica rumena durante gli anni ‘30 e ‘40.
(3) Vedi sentenza Fayed c. Regno Unito del 21 settembre 1994, serie A. n. 294-B, pp. 50-51, paragrafi 66-68 e la sentenza Niemietz c. Germania del 16 dicembre 1992, serie A. n. 251-B, pp. 35-36, paragrafo 37.

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